MORIRE O VIVERE
AIDS
Si è visto morire l'uomo, si è assistito alla sua fine. Era affetto da aids. Aveva avuto una vita piena, travolgente, e si era affermato; aveva assaporato il successo, conosciuto le sconfitte; era sempre risorto.
Era buono, severo ed anche generoso.
Era forte e debolissimo, ad un tempo.
Amava e conosceva la vita; era brillante, simpatico come pochi.
Finì, consapevole, in un letto d'ospedale.
Alcune infermiere lo accudivano e tutti gli volevano bene; i medici anche; gli altri pazienti erano affettuosi e gentili; solo uno voleva rubargli dei soldi, forse per procurarsi la droga.
Pochi giorni prima che morisse, pare di notte si alzasse disturbando la vita dell'ospedale; lo costrinsero a star fermo nel letto e gli legarono i polsi, con fasce. Sembrava un Cristo sulla Croce.
Faceva pena; ma non ci si ribellò, sperandosi che anche questo potesse forse aiutarlo, avviarlo a guarigione.
La vita di un uomo già forte che si consumava attimo dopo attimo. Se sua madre, che lo concepì e che l'amava, lo avesse visto in tale stato, cosa avrebbe fatto?
Era morta, da anni, per fortuna.
Che fare? Si sperava, soltanto e fino all'ultimo.
Senza risultati, senza conforto.
Che morte! Fatta d'impotenza, d'incredulità, di naturale stupidità.
Aveva subìto diverse operazioni chirurgiche e molte trasfusioni di sangue; forse un contagio, probabili ovviamente anche altre cause?
Ma che importa? Tutto può essere. Il risultato finale non cambia per le cause del contagio.
Dice il saggio zen: ogni cosa deve morire e deve vivere per il tempo che le è destinato. Da chi e per quale ragione? Ci si chiede.
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