IL NOSTRO TEMPO


UN DRAMMA GIUDIZIARIO



Tredicenne di periferia, come tanti. Vivace, allegro, sicuro di sè, un po' spavaldo ed un po' furbo, simpatico, curioso e intelligente. In palestra cerca di sviluppare la sua muscolatura e pratica qualche sport. Comincia ad interessarsi alle ragazze che pure lo guardano; qualcuna gli sorride e trova intrigante i suoi occhioni neri e quei capelli scuri, con tanti riccioli.

Va d'accordo con amici e non ha problemi con i genitori. A scuola è diligente e riservato.

Trascorre il pomeriggio d'una giornata primaverile con coetanei; le solite chiacchiere fra ragazzi che, poi, si fermano per qualche ora alla saletta giochi del quartiere. Verso le diciannove, salutati gli amici, si appresta a rientrare.

La famiglia, non agiata, è onesta, laboriosa e, come direbbe qualcuno, timorata di Dio, pur senza bigotteria.

Il padre è imbianchino, la madre domestica ad ore.

È gente che s'accontenta del poco e non cerca d'ottenere di più ad ogni costo e con ogni mezzo.

Vorrebbero assicurare al loro unico figlio un avvenire sereno, una vita più agiata della loro.

Per andare a casa il tredicenne deve attraversare una sorta di piazza, uno slargo senza definibile forma geometrica, squallido, privo d'alberi, d'un monumento o d'una fontana. Nell'insieme, è mal illuminata e un po' sinistra. Tutt'intorno un grigiore d'edifici costruiti con materiali poveri, senza stile, casermoni abitativi periferici che danno infelicità a chi vi abita ed un senso d'angoscia e di vuoto a chi li guarda senza abitarvi.

Possono notarsi, inseriti nel manto stradale sconnesso, binari di tram e, in alto, ragnatele di fili elettrici riparati in più punti.

Il ragazzo inizia l'attraversamento di quel lugubre slargo con semaforo verde per i pedoni e cammina, pur senza fretta, esattamente come sempre.

Forse pensa agli amici appena lasciati, alla cena che l'attende, alla primavera ch'è nell'aria o alla brunetta che, ogni tanto, gli sorride se s'incontrano e non c'è nessuno che la conosce.

Un autobus, all'improvviso, lo investe in pieno, lo scaraventa a terra, dove rimane immobile.

L'autista dell'autobus non l'ha certamente notato e, per di più, ha iniziato la marcia con semaforo ancora rosso per lui, visto che la piazza gli appare deserta.

Soltanto frettoloso ed irresponsabile?

Nell'esatto istante in cui il ragazzo è violentemente investito il semaforo verde per i pedoni diventa rosso e l'opposto accade per l'autobus.

L'autista è dunque in regola con il codice stradale!

A quell'ora e a quell'incrocio non c'è alcun altro passante e nemmeno altri autoveicoli. Non vi sono testimoni!

Il tredicenne, gravemente ferito, è vivo; è trasportato e curato in un vicino ospedale. Ciò malgrado, subisce menomazioni permanenti psicofisiche pari ad oltre il 70% della sua integrità complessiva.

Non sarà più autosufficiente, non potrà più badare a se stesso, studiare o lavorare.

I genitori, con veri e grandi sacrifici, tentano per migliorare le condizioni del loro ragazzo tutto quanto è possibile.
Inutilmente!

Rimarrà per sempre come quell'incidente lo ha reso.

Cure, interventi, esercizi di riabilitazione ed altre attenzioni non sortiscono risultati apprezzabili. I genitori continuano a lottare.

Si presenta loro un incaricato dell'assicurazione dell'azienda di trasporti, viscido come un serpente ed offre qualche milione per tacitare le pretese della famiglia per i danni patiti dal ragazzo.

L'incongruità della proposta li induce ad un netto rifiuto. Nessuno si rifà vivo.

Decidono di far causa all'azienda di trasporti.

In primo grado, in appello ed, infine, in cassazione i giudici sono sordi e ciechi. Una Via Crucis!

Non vedono e non vogliono vedere l'evidenza, non ascoltano e non vogliono sentire precise argomentazioni, perfette parole.

Hanno già certezze; sanno già tutto sui colori dei semafori, sul funzionamento delle luci che si commutano da verde a rosso in quel preciso istante, della mancanza di testimoni, delle condizioni della famiglia, dell'importante ruolo svolto da quell'azienda, eccetera.

Discolpano definitivamente quell'autista, anzi quel farabutto.

Il torto è e rimarrà del ragazzo, sentenziano pur con altre parole ma senza motivazioni.

La famiglia è costretta a pagare anche le spese del lungo calvario giudiziario, protrattosi per diversi anni tranne quelle per il difensore che rinuncia al suo onorario.

È come se si dicesse che un semaforo verde può autorizzare qualsivoglia conducente di qualsivoglia veicolo ad investire o uccidere qualsivoglia pedone che attravesi con semaforo divenuto rosso durante l'ultima fase dell'attraversamento d'una via, d'una piazza, eccetera.

Se così fosse, potrebbe pensarsi a pura follia ovvero ad altro?

Quei giudici hanno aggiunto al dramma umano un dramma giudiziario!

I genitori del ragazzo disperati ed impotenti si domandavano: che sta succedendo? Qual'è il senso di questa sentenza?
Uno dei tanti, che si trovava lì per caso, li udì e rispose più o meno con queste parole: è ritornato l'Alto Medio Evo. È tempo di chiudere per sempre le porte di questo luogo ed andar via.

L'aria è diventata irrespirabile; occorre fuggire in fretta e per sempre.

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Psicanalisi