STRUMENTI DELLO
SPIRITO
UN DESTINO TUTTO DA INVENTARE
Un inutile tardo pomeriggio da trascorrere comunque, in attesa di
riprendere l'aereo e far ritorno a casa, nella tarda serata; quello
l'unico volo utile.
Decise di fare l'abituale giro di negozi e bancarelle nella vecchia parte
della città indiana.
Le solite cose, i souvenir di sempre, realizzati con crescente fretta,
senza amore, con approssimazione, per turisti disinformati, frettolosi e
privi talvolta di senso estetico.
Non trova nulla da comprare; si potrebbe ripetere: qui tutto è stato già
comprato; nulla che lo interessi veramente. Quell'uomo è fuori dalla sua
vera dimensione, dal suo vero mondo.
Ne ha uno? Appartiene a qualcosa? A qualsivoglia universo, forse? Non lo
sa più.
A quell'ora c'è mancanza di luce; quella artificiale, l'illuminazione
della via, non è stata ancora accesa e quella naturale è quasi del tutto
scomparsa; il sole è tramontato.
Se fosse già a casa, sarebbe l'ora giusta per bere il primo dei suoi
bicchieri di whisky e cercare di dimenticare, pensò. Tuttavia è dov'è e
non vede alcun bar nelle vicinanze.
Nella semioscurità notò un sikh, dal turbante colorato e dalla barba
grigia e folta; a terra, su un quadrato di stoffa rossa, una mano dipinta
su fondo chiaro, bianco-ocra e una scritta.
Decise di farsi leggere la mano; prima però volle parlare con il sikh
che, senza remore, disse di essersi ammalato, di non poter più lavorare e
di guadagnarsi la vita con la chiromanzia, palmistry precisò, con tipica
pronuncia indiana della parola inglese.
L'uomo mercanteggiò sulla tariffa come se si fosse trattato di un
qualsiasi oggetto di poco valore di quel mercato, giusto per far passare
il tempo, come soleva fare. Il sikh accettò il prezzo ch'era disposto a
pagare. Infine lesse la mano.
Aveva nemici nel suo ambiente e stava per essere sconfitto, ammise o
sentenziò; istintivamente, l'uomo non avrebbe voluto credergli, memore
del quisque faber fortunae suae, ma più che probabile ciò era
semplicemente vero.
Il perditempo, quasi beone e insicuro, andò via, disincantato, senza
preoccuparsi troppo.
Al suo ritorno a casa, nell'altra e più grande città indiana, rivide,
qualche giorno dopo, lo strano e viscido cambiavalute ufficioso, che
mostrava interesse per la sua personalità e che, più volte, s'era
offerto di leggergli la mano.
Egli si era sempre opposto; questa volta lo pregò, invece, di leggerla;
ripetè all'incirca la previsione del sikh che, non conoscendolo e non
sapendo alcunché sul suo conto, aveva - più che in qualche modo -
indovinato.
Il cambiavalute gli sembrò, invece, sospetto, come se fosse stato
pilotato dagli amici, il duetto delinquenziale che conosceremo più avanti
come comparse dedite a tralasciare, che pure utilizzava i suoi servizi.
Una lettura della mano che tutti avrebbero potuto effettuare dunque,
conoscendosi già le coordinate del problema.
Si parla di destino e l'uomo, sempre perditempo e sempre quasi beone,
cerca aiuto nel Libro della mano per trovare la linea omonima sul palmo
della sua sinistra che, tuttavia, non vede. Forse non c'è affatto. Anzi
è proprio così, non la vede e non c'è.
Ancora meglio!
È un destino tutto da inventare.
Il migliore che sarà capace di realizzare a dispetto del sikh disoccupato
e del cambiavalute non proprio onesto o veritiero!
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